Nazisti e animalisti
Secondo alcune leggende difensori dei diritti animali e nazisti sono più simili di quanto si creda: ma cosa c’è di vero?
A
molti vegani è sicuramente capitato di imbattersi in persone che, nel
penoso tentativo di attaccare l’ideologia dei diritti animali, in
mancanza evidente di argomenti validi e razionali, accostano, con un
senso misto di preoccupazione condito sempre con una buona dose di
buonismo e ipocrita filantropia, il movimento dei difensori dei diritti
animali (ARA: animal rights advocates [1]) con l’ideologia nazista, con
gli esponenti più noti del regime e, in particolare, con la massima
figura rappresentativa del movimento nazista: Adolf Hitler.
L’implicita
conclusione che dovrebbe emergere da questo strano puzzle di analogie
vorrebbe portare a credere che l’ideologia dei diritti animali sia
pericolosa per l’uomo, che sia fondata su un atteggiamento anti-umano,
che miri all’estinzione della specie umana e altre amenità simili.
Basterebbe invece sfogliare qualche testo di filosofia sui diritti
animali per capire che l’ideologia dei diritti animali non è rivolta ai
soli animali non umani, ma contempla una più ampia forma di rispetto
verso la vita in generale, uomo compreso.
Il pensiero dei
diritti animali non intende porre l’uomo al livello dell’animale così
come oggi quest’ultimo viene generalmente considerato, ma mira ad
elevare l’animale al livello dell’uomo sul piano dei diritti
fondamentali: il diritto alla libertà, il diritto al benessere e il
diritto alla vita. Esattamente il contrario di ciò che da sempre hanno
fatto e continuano a fare i gruppi oppressivi di ogni momento storico,
che pongono l’uomo al livello dell’animale per renderne la morte più
giustificabile e meno opprimente, dal momento che l’animale è, appunto,
ritenuto privo di diritti, valore e dignità. Riconoscere invece un ruolo
diverso e più dignitoso all’animale all’interno della nostra società
significherebbe anche privare l’uomo di tali scusanti sociologiche di
supporto.
Tra i sostenitori di
questi bizzarri paralleli tra ARA e nazisti vi sono numerosiindividui
che dello sfruttamento animale ne hanno fatto una fonte di lauti
guadagni, ma i più entusiasti si rivelano coloro che dell’uccisione
dell’animale ne hanno fatto un divertimento personale, ovvero i
cacciatori. E tali fantasiose congetture non trovano spazio solo davanti
a tavolini d’osteria e non solo invadono con chiasso discussioni su
forum, ma talvolta trovano spazio anche su quotidiani tra le lettere dei
lettori (come nel caso del cacciatore Fabrizio Bonuccelli, insolito
frequente ospite tra le pagine de Il Tirreno) o su riviste nel corso di interviste (come nel caso dell’ex sindaco-macellaio di Bologna Giorgio Guazzaloca sulle pagine di Panorama).
Per rispondere a tali farneticazioni si
potrebbe semplicemente replicare che non ha alcuna importanza se Hitler,
come dicono, fosse stato vegetariano. Stalin e molti altri dittatori
mangiavano regolarmente carne. E dovremmo forse chiudere tutte le
gallerie d’arte per via della passione di Hitler per la pittura?___
Iniziamo con l’affrontare la più
delirante di queste congetture: Hitler era vegetariano, e come tale
promuoveva il vegetarianismo tra il proprio regime e la popolazione. Ma
basterebbe sfogliare qualche libro di storia o una biografia di Hitler
per rendersi conto dell’assurdità di simili affermazioni.
Hitler non era vegetariano. Furono i suoi medici a prescrivergli
occasionalmente, per migliorare le sue condizioni di salute, una dieta
priva di carne: soffriva di disturbi digestivi e di occasionali dolori
allo stomaco che lo avevano afflitto fin dall’adolescenza, ma anche di
eccessiva flatulenza e di forte sudorazione.
Hitler tuttavia
non rinunciò mai completamente ai suoi piatti di carne preferiti,
specialmente le salsicce bavaresi, i fegatini e la selvaggina farcita e
arrostita. Il professor Rynn Berry ha recensito The Heretics Feast, un libro che alimenta la leggenda di Hitler vegetariano, con queste parole:
Mentre è vero che i medici
di Hitler gli prescrissero una dieta vegetariana per curarne la
flatulenza e un disturbo cronico dello stomaco, diversi tra i suoi
biografi, come Albert Speer, Robert Payne, John Toland e altri,
riportano la sua predilezione per salse a base di carne e carni
trattate. Anche Spencer sostiene che Hitler divenne vegetariano soltanto
a partire dal 1931: «Si potrebbe affermare che dal 1931 seguì una dieta
vegetariana, ma la trasgrediva in alcune occasioni».
Hitler durante una pausa di riflessione.
Quali che fossero
le sue preferenze alimentari, Hitler dimostrò comunque scarsa simpatia
per la causa vegetariana in Germania. Quando salì al potere nel 1933
bandì tutte le associazioni vegetariane, ne arrestò i dirigenti e chiuse
le principali riviste sull’argomento pubblicate a Francoforte.
La persecuzione
nazista costrinse inoltre i vegetariani, una piccolissima minoranza in
una nazione di forti mangiatori di carne, a lasciare il paese o a
entrare in clandestinità. Edgar Kupfer-Koberwitz, un pacifista e
vegetariano tedesco, fu costretto a fuggire a Parigi e poi in Italia,
dove fu arrestato dalla Gestapo e spedito al campo di concentramento di
Dachau.
E durante la
guerra la Germania nazista bandì tutte le organizzazioni vegetariane nei
territori occupati, anche se un’alimentazione vegetariana avrebbe
potuto contribuire ad alleviare la penuria di cibo del tempo di guerra.
Inoltre la
politica hitleriana non promosse mai il vegetarianismo presso la
popolazione. Il fatto che questa sana alimentazione non sia stata
incoraggiata da parte di un leader che rinforzò rigorosamente altre
politiche salutistiche, come una legislazione che condannava il fumo e
l’inquinamento o le misure a tutela delle donne in gravidanza e delle
partorienti, è abbastanza significativo.
Secondo lo
storico Robert Payne il mito del rigido vegetarianismo di Hitler fu
soprattutto opera del ministro della propaganda della Germania nazista,
Joseph Goebbels:
L’ascetismo
giocò un ruolo importante nell’immagine che di sè Hitler diffondeva
nell’intera Germania. Secondo la leggenda, a cui molti danno credito,
Hitler non fumava, non beveva, nè mangiava carne, nè aveva niente a che
fare con le donne. Solo la prima cosa era vera. Beveva spesso
birra e vino diluito, aveva una speciale passione per le salsicce
bavaresi, e aveva un’amante, Eva Braun, che viveva tranquillamente con
lui al Berghof. Ebbe anche altre storie discrete.
Il suo ascetismo era un’invenzione di Goebbels per esaltare la sua
totale dedizione, il suo autocontrollo, la distanza che lo separava
dagli altri uomini. Con questa plateale dimostrazione di ascetismo,
Hitler poteva rivendicare di essere completamente dedito al servizio del
suo popolo.
Goebbels vide nei
consigli medici al Fuhrer riguardo la sua dieta una buona idea per
spingere il pubblico a considerare Hitler come un santo, come il loro
contemporaneo vegetariano (poi vegano) Mohandas K. Gandhi. In realtà,
Gandhi fu l’esatto opposto di Hitler anche in questo, dato che i medici,
per migliorare la sua salute, gli consigliavano di bere brodo di carne.
E mentre Gandhi rifiutò, Hitler si lamentava delle prescrizioni dei
suoi medici e si spacciava per vegetariano nonostante mangiasse ravioli
al ragù.
Hitler nutriva
inoltre una radicale avversione per la filosofia vegetariana non
violenta, e si faceva beffe di Gandhi. Secondo la sua convinzione di
fondo, la Natura era dominata dalla legge del più forte. Voleva che i
giovani tedeschi fossero brutali, autoritari, impavidi e crudeli.
Affermò che «nei loro occhi deve di nuovo risplendere la luce della
libera e meravigliosa bestia predatrice».
I nazisti amavano gli animali
Un’altra originale trovata dei
partigiani anti-ARA è quella di accostare al movimento degli ARA un
superbo “amore” che il regime nazista, specie nelle sfere più alte del
potere, avrebbe provato verso gli animali, sottintendendo in tal modo
come la benevolenza verso gli animali sia segno di degenerazione
mentale.
Hitler “amava” i cani,
specialmente i pastori tedeschi (considerava i boxer “degenerati”) e
gli piaceva controllarli e dominarli. Spesso portava con sé un frustino
per cani e qualche volta lo usava per picchiare il suo cane nello stesso
modo morboso con cui lo usava suo padre per picchiare il proprio cane.
Nel quartier generale del Fuhrer, durante la seconda guerra mondiale, la
femmina di pastore tedesco di Hitler, Blondi (nella foto di apertura),
gli offrì la cosa più vicina all’amicizia che egli avesse mai avuto. «Ma
con i suoi cani, così come con ogni essere umano con cui venisse a
contatto», scrive Ian Kershaw, «qualsiasi relazione era basata sulla
subordinazione al suo dominio».
Hitler accarezza una bambina.
La presunta passione
di Hitler e di altri capi nazisti per gli animali, specialmente per i
loro cani, è stata analizzata da Max Horkheimer e Theodor Adorno. Per
certe personalità autoritarie, scrivono, l’ “amore per gli animali” è
parte del loro modo di intimidire gli altri. Quando i magnati
dell’industria e i capi fascisti vogliono avere animali domestici,
scelgono sempre animali dall’aspetto intimidatorio, come alani e
leoncini, per avere ulteriore potere attraverso il terrore che questi
ispirano.
I
soldati tedeschi addestravano i loro cani ad aggredire i prigionieri
usando fruste di cuoio, le stesse che poi usavano sugli uomini. In ogni
caso ai tedeschi non piacevano tutti i cani, ma solo i loro cani.
Come spiega Boria Sax, «un cane “ebreo” poteva essere preso a fucilate,
ma un cane “tedesco” era trattato con tutti i riguardi».
Quando
i tedeschi invasero l’Austria uccisero tutti i cani che trovarono nelle
case degli ebrei in quanto “cani ebrei” e per la stessa ragione
uccisero i cani incontrati nel ghetto di Varsavia. Qualche volta non era
necessario che i cani fossero “ebrei” perché venissero uccisi: durante
l’occupazione di Rotterdam, se un cane abbaiava ad una pattuglia
tedesca, l’ufficiale in servizio lo uccideva immediatamente e ne
arrestava il proprietario.
Oltre
questo “amore” per i cani, l’ideologia nazista non sembrava certo
essere così benevola verso gli altri animali. Sebbene lo scopo dei campi
di concentramento fosse l’eliminazione degli esseri umani, tali campi
operavano in un più ampio contesto sociale di sfruttamento e uccisione
degli animali. Auschwitz possedeva un proprio macello e un proprio
negozio di macelleria, ma anche gli altri campi di sterminio rifornivano
con grandi quantità di carni il proprio personale. Sobibor aveva una
stalla per bovini, un porcile e un pollaio situati nelle vicinanze del
tunnel che portava gli ebrei alle camere a gas; Treblinka disponeva di
una stalla, di un porcile e di un pollaio dislocati in prossimità
dell’accampamento delle forze austriache ucraine. A Treblinka inoltre
c’era addirittura uno zoo.
Sparare agli
animali era un passatempo assai popolare tra i membri delle squadre
operative e il personale dei campi di sterminio. Molti di coloro che
trascorrevano le ore di lavoro uccidendo esseri umani, amavano impiegare
il tempo libero uccidendo animali. Nel diario di Felix Landau si legge:
«Oggi gli uomini hanno avuto un giorno libero, alcuni di loro sono
andati a caccia». Alcuni membri del 25° reggimento di polizia subirono
una reprimenda per aver cacciato illegalmente cinghiali. In una lettera
indirizzata alla famiglia a proposito di una battuta di caccia appena
conclusa, Eduard Wirth, uno dei medici delle SS ad Auschwitz, raccontava
a sua moglie di aver sparato a sei conigli e di averne tenuto uno per
lei («Tu, mia adorata, lo avrai domani»).
I nazisti erano contro la vivisezione
Partendo dal presupposto precedente,
ovvero che i nazisti “amavano gli animali”, i più fantasiosi tra i
fautori della sperimentazione animale sostengono che in virtù di ciò i
medici delle SS si rifiutarono si sperimentare sugli animali
prediligendo l’uso di esseri umani. Questa originale conclusione è di
norma la conseguenza della domanda retorica: «Se non sperimentiamo sugli
animali, dovremmo sperimentare sugli umani?».
Questa
bizzarra concatenazione di idee nasce da una evidente ignoranza sui
concetti dell’antivivisezionismo. L’antivivisezionismo mira ad abolire
l’uso degli animali nella sperimentazione, ma naturalmente non con
l’obiettivo di sostituire l’animale con l’uomo: questo sarebbe assurdo e
ridicolo. Il movimento scientifico antivivisezionista nel conseguire il
proprio obiettivo richiede un maggiore investimento di soldi, tempo ed
energie verso metodologie innovative che non richiedano l’uso di
animali, studi clinici ed indagini epidemiologiche.
Inoltre
bisogna sapere che la sperimentazione sugli animali oggi rappresenta
non l’alternativa ma solo l’anticamera alla sperimentazione sugli esseri
umani: ad esempio una nuova terapia deve essere prima testata sugli
animali e, a dimostrazione dell’inattendibilità del test animale, segue
il test sugli esseri umani, con tutti i pericoli che ne conseguono.
Dunque la sperimentazione sugli umani è già oggi praticata. In
realtà i medici delle SS decisero di usare esseri umani nei propri
laboratori proprio perché profondamente convinti del metodo
vivisezionista, fondato sull’uso meccanicista di esseri viventi, per cui
non appena ne ebbero la possibilità non si fecero scrupoli ad usare
esseri umani.
Un dipinto di Hitler.
Esistono
in ogni caso prove schiaccianti di come i medici nazisti continuarono a
condurre un’enorme quantità di esperimenti sugli animali. In The Dark Face of Science,
di John Vyvyan, possiamo ad esempio leggere che «gli esperimenti
condotti sui prigionieri furono molti e di diversa natura, ma avevano
tutti una caratteristica in comune: ciascuno rappresentava una
continuazione di esperimenti condotti su animali, o ne era
complementare. Per ogni esperimento, veniva citata in evidenza la
letteratura [vivisezionista] antecedente e nei campi di concentramento
di Buchenvald e Auschwitz vennero portati avanti esperimenti
simultaneamente su umani e animali, come parte di un unico programma».
Interessante
notare che la sperimentazione sugli esseri umani non era pratica
consueta solo dei medici delle SS “amanti degli animali”, ma permeava
l’intero campo della ricerca medica, comprese le industrie
farmaceutiche. Il dogma della vivisezione, inculcato allora come oggi
durante gli studi universitari, presentò ai ricercatori dell’epoca come
del tutto naturale passare dalla sperimentazione sugli animali alla
sperimentazione sugli umani. Da passaggi di lettere appartenenti agli
atti del processo di Norimberga, indirizzate dalla più grande impresa
chimico-farmaceutica tedesca, la IG Farbenindustrie, alla direzione del
lager di Auschwitz durante la Seconda guerra mondiale, leggiamo:
Per esperimenti con un nuovo sonnifero Vi saremmo grati se ci poteste fornire un certo numero di donne [...].
Troviamo esagerato il prezzo di 200 marchi per donna. Vi proponiamo un prezzo massimo di 170 marchi. Ce ne servono circa 150.
Le 150 donne sono arrivate. Sebbene il loro stato
di salute sia alquanto precario, abbiamo deciso di considerarlo
sufficiente. Vi terremo informati in merito ai nostri esperimenti.
Gli esperimenti sono stati compiuti. Tutte le
partecipanti sono decedute. Tra breve vi scriveremo in merito a una
nuova fornitura.
Quindicimila cacciatori per Mussolini
Nella foga di trovare fantasiosi nessi
tra nazisti e ARA accade che a questi impavidi salvatori dell’umanità
sfugga quello che può scrivere proprio una rivista a loro dedicata. In
un articolo apparso sul sito della rivista Diana, una
pubblicazione specializzata sull’ “antica arte” della caccia, si parla
non di Hitler, ma del suo miglior alleato Benito Mussolini:
L’Italia è ormai nel pieno di quello che in seguito
verrà definito Ventennio e tutto deve concorrere alla esaltazione e
alla diffusione delle idee propugnate dal Regime. Per capirlo basterebbe
la copertina di Diana [del numero uscito allora] [...] dedicata a
Benito Mussolini e alla frase da lui pronunciata davanti a settecento
cacciatori provenienti da Bari per rendergli omaggio, preludio
dell’altra, ben più numerosa [...] adunata che si terrà nel 1932 e vedrà
ben 15.000 cacciatori invadere Piazza Venezia [...]. [...] Il fascismo
non poteva lasciarsi scappare l’occasione di prendere sotto la propria
ala una attività come quella venatoria che vedeva portare avanti da chi
la praticava sia un sano esercizio fisico – un’altra delle velleità del
Regime – sia la preparazione all’uso delle armi, propedeutica ad un
impiego militare già tristemente nei programmi. Intanto il Duce,
dichiarandosi anch’esso appassionato dell’ars venandi [ovvero della
caccia] ha soppiantato come primo cacciatore d’Italia la figura del Re
nell’iconografia nazionale [...]. Sempre nel 1931 nasce anche la
Federazione Nazionale Fascista dei Cacciatori, ulteriore esempio del
controllo esercitato dal fascismo su ogni aspetto della vita dei
cittadini. [1]
Evidentemente “tempi gloriosi” come quelli del fascismo vengono guardati con nostalgia dai cacciatori di oggi…
Conclusioni
In realtà, la storia ci mostra numerosi
esempi di grandi uomini che hanno deciso di abbandonare il consumo delle
carni in favore di un’alimentazione più attenta alla vita degli
animali. Ricordo, tra i tanti vegetariani, Pitagora, Nasone, Plutarco,
Leonardo Da Vinci, Lev Tolstoi, George Bernard Shaw, Mahatma Gandhi,
Albert Einstein, Isaac Bashevis Singer, Tiziano Terzani.
Albert
Schweitzer, medico, teologo e filosofo tedesco, premio Nobel per la
pace, impegnato come missionario in Africa e sostenitore dei diritti
animali, scrisse:
«Coloro
che antepongono i diritti degli umani a quelli degli animali non hanno
coscienza che la pietà è una sola come la compassione.»
Riccardo B.http://www.animalstation.it/public/wordpress/?p=54