mercoledì 8 febbraio 2012

Nazisti e animalisti

Nazisti e animalisti

Secondo alcune leggende difensori dei diritti animali e nazisti sono più simili di quanto si creda: ma cosa c’è di vero?


A molti vegani è sicuramente capitato di imbattersi in persone che, nel penoso tentativo di attaccare l’ideologia dei diritti animali, in mancanza evidente di argomenti validi e razionali, accostano, con un senso misto di preoccupazione condito sempre con una buona dose di buonismo e ipocrita filantropia, il movimento dei difensori dei diritti animali (ARA: animal rights advocates [1]) con l’ideologia nazista, con gli esponenti più noti del regime e, in particolare, con la massima figura rappresentativa del movimento nazista: Adolf Hitler.
L’implicita conclusione che dovrebbe emergere da questo strano puzzle di analogie vorrebbe portare a credere che l’ideologia dei diritti animali sia pericolosa per l’uomo, che sia fondata su un atteggiamento anti-umano, che miri all’estinzione della specie umana e altre amenità simili. Basterebbe invece sfogliare qualche testo di filosofia sui diritti animali per capire che l’ideologia dei diritti animali non è rivolta ai soli animali non umani, ma contempla una più ampia forma di rispetto verso la vita in generale, uomo compreso.
Il pensiero dei diritti animali non intende porre l’uomo al livello dell’animale così come oggi quest’ultimo viene generalmente considerato, ma mira ad elevare l’animale al livello dell’uomo sul piano dei diritti fondamentali: il diritto alla libertà, il diritto al benessere e il diritto alla vita. Esattamente il contrario di ciò che da sempre hanno fatto e continuano a fare i gruppi oppressivi di ogni momento storico, che pongono l’uomo al livello dell’animale per renderne la morte più giustificabile e meno opprimente, dal momento che l’animale è, appunto, ritenuto privo di diritti, valore e dignità. Riconoscere invece un ruolo diverso e più dignitoso all’animale all’interno della nostra società significherebbe anche privare l’uomo di tali scusanti sociologiche di supporto.
Tra i sostenitori di questi bizzarri paralleli tra ARA e nazisti vi sono numerosiindividui che dello sfruttamento animale ne hanno fatto una fonte di lauti guadagni, ma i più entusiasti si rivelano coloro che dell’uccisione dell’animale ne hanno fatto un divertimento personale, ovvero i cacciatori. E tali fantasiose congetture non trovano spazio solo davanti a tavolini d’osteria e non solo invadono con chiasso discussioni su forum, ma talvolta trovano spazio anche su quotidiani tra le lettere dei lettori (come nel caso del cacciatore Fabrizio Bonuccelli, insolito frequente ospite tra le pagine de Il Tirreno) o su riviste nel corso di interviste (come nel caso dell’ex sindaco-macellaio di Bologna Giorgio Guazzaloca sulle pagine di Panorama).
Per rispondere a tali farneticazioni si potrebbe semplicemente replicare che non ha alcuna importanza se Hitler, come dicono, fosse stato vegetariano. Stalin e molti altri dittatori mangiavano regolarmente carne. E dovremmo forse chiudere tutte le gallerie d’arte per via della passione di Hitler per la pittura?___
Hitler era vegetariano
Iniziamo con l’affrontare la più delirante di queste congetture: Hitler era vegetariano, e come tale promuoveva il vegetarianismo tra il proprio regime e la popolazione. Ma basterebbe sfogliare qualche libro di storia o una biografia di Hitler per rendersi conto dell’assurdità di simili affermazioni. Hitler non era vegetariano. Furono i suoi medici a prescrivergli occasionalmente, per migliorare le sue condizioni di salute, una dieta priva di carne: soffriva di disturbi digestivi e di occasionali dolori allo stomaco che lo avevano afflitto fin dall’adolescenza, ma anche di eccessiva flatulenza e di forte sudorazione.
Hitler tuttavia non rinunciò mai completamente ai suoi piatti di carne preferiti, specialmente le salsicce bavaresi, i fegatini e la selvaggina farcita e arrostita. Il professor Rynn Berry ha recensito The Heretics Feast, un libro che alimenta la leggenda di Hitler vegetariano, con queste parole:
Mentre è vero che i medici di Hitler gli prescrissero una dieta vegetariana per curarne la flatulenza e un disturbo cronico dello stomaco, diversi tra i suoi biografi, come Albert Speer, Robert Payne, John Toland e altri, riportano la sua predilezione per salse a base di carne e carni trattate. Anche Spencer sostiene che Hitler divenne vegetariano soltanto a partire dal 1931: «Si potrebbe affermare che dal 1931 seguì una dieta vegetariana, ma la trasgrediva in alcune occasioni».

Hitler durante una pausa di riflessione.
Quali che fossero le sue preferenze alimentari, Hitler dimostrò comunque scarsa simpatia per la causa vegetariana in Germania. Quando salì al potere nel 1933 bandì tutte le associazioni vegetariane, ne arrestò i dirigenti e chiuse le principali riviste sull’argomento pubblicate a Francoforte.
La persecuzione nazista costrinse inoltre i vegetariani, una piccolissima minoranza in una nazione di forti mangiatori di carne, a lasciare il paese o a entrare in clandestinità. Edgar Kupfer-Koberwitz, un pacifista e vegetariano tedesco, fu costretto a fuggire a Parigi e poi in Italia, dove fu arrestato dalla Gestapo e spedito al campo di concentramento di Dachau. 
E durante la guerra la Germania nazista bandì tutte le organizzazioni vegetariane nei territori occupati, anche se un’alimentazione vegetariana avrebbe potuto contribuire ad alleviare la penuria di cibo del tempo di guerra.
Inoltre la politica hitleriana non promosse mai il vegetarianismo presso la popolazione. Il fatto che questa sana alimentazione non sia stata incoraggiata da parte di un leader che rinforzò rigorosamente altre politiche salutistiche, come una legislazione che condannava il fumo e l’inquinamento o le misure a tutela delle donne in gravidanza e delle partorienti, è abbastanza significativo.
Secondo lo storico Robert Payne il mito del rigido vegetarianismo di Hitler fu soprattutto opera del ministro della propaganda della Germania nazista, Joseph Goebbels:
L’ascetismo giocò un ruolo importante nell’immagine che di sè Hitler diffondeva nell’intera Germania. Secondo la leggenda, a cui molti danno credito, Hitler non fumava, non beveva, nè mangiava carne, nè aveva niente a che fare con le donne. Solo la prima cosa era vera. Beveva spesso birra e vino diluito, aveva una speciale passione per le salsicce bavaresi, e aveva un’amante, Eva Braun, che viveva tranquillamente con lui al Berghof. Ebbe anche altre storie discrete. Il suo ascetismo era un’invenzione di Goebbels per esaltare la sua totale dedizione, il suo autocontrollo, la distanza che lo separava dagli altri uomini. Con questa plateale dimostrazione di ascetismo, Hitler poteva rivendicare di essere completamente dedito al servizio del suo popolo.
Goebbels vide nei consigli medici al Fuhrer riguardo la sua dieta una buona idea per spingere il pubblico a considerare Hitler come un santo, come il loro contemporaneo vegetariano (poi vegano) Mohandas K. Gandhi. In realtà, Gandhi fu l’esatto opposto di Hitler anche in questo, dato che i medici, per migliorare la sua salute, gli consigliavano di bere brodo di carne. E mentre Gandhi rifiutò, Hitler si lamentava delle prescrizioni dei suoi medici e si spacciava per vegetariano nonostante mangiasse ravioli al ragù.
Hitler nutriva inoltre una radicale avversione per la filosofia vegetariana non violenta, e si faceva beffe di Gandhi. Secondo la sua convinzione di fondo, la Natura era dominata dalla legge del più forte. Voleva che i giovani tedeschi fossero brutali, autoritari, impavidi e crudeli. Affermò che «nei loro occhi deve di nuovo risplendere la luce della libera e meravigliosa bestia predatrice».
I nazisti amavano gli animali
Un’altra originale trovata dei partigiani anti-ARA è quella di accostare al movimento degli ARA un superbo “amore” che il regime nazista, specie nelle sfere più alte del potere, avrebbe provato verso gli animali, sottintendendo in tal modo come la benevolenza verso gli animali sia segno di degenerazione mentale.
Hitler “amava” i cani, specialmente i pastori tedeschi (considerava i boxer “degenerati”) e gli piaceva controllarli e dominarli. Spesso portava con sé un frustino per cani e qualche volta lo usava per picchiare il suo cane nello stesso modo morboso con cui lo usava suo padre per picchiare il proprio cane. Nel quartier generale del Fuhrer, durante la seconda guerra mondiale, la femmina di pastore tedesco di Hitler, Blondi (nella foto di apertura), gli offrì la cosa più vicina all’amicizia che egli avesse mai avuto. «Ma con i suoi cani, così come con ogni essere umano con cui venisse a contatto», scrive Ian Kershaw, «qualsiasi relazione era basata sulla subordinazione al suo dominio».

Hitler accarezza una bambina.
La presunta passione di Hitler e di altri capi nazisti per gli animali, specialmente per i loro cani, è stata analizzata da Max Horkheimer e Theodor Adorno. Per certe personalità autoritarie, scrivono, l’ “amore per gli animali” è parte del loro modo di intimidire gli altri. Quando i magnati dell’industria e i capi fascisti vogliono avere animali domestici, scelgono sempre animali dall’aspetto intimidatorio, come alani e leoncini, per avere ulteriore potere attraverso il terrore che questi ispirano.
I soldati tedeschi addestravano i loro cani ad aggredire i prigionieri usando fruste di cuoio, le stesse che poi usavano sugli uomini. In ogni caso ai tedeschi non piacevano tutti i cani, ma solo i loro cani. Come spiega Boria Sax, «un cane “ebreo” poteva essere preso a fucilate, ma un cane “tedesco” era trattato con tutti i riguardi».
Quando i tedeschi invasero l’Austria uccisero tutti i cani che trovarono nelle case degli ebrei in quanto “cani ebrei” e per la stessa ragione uccisero i cani incontrati nel ghetto di Varsavia. Qualche volta non era necessario che i cani fossero “ebrei” perché venissero uccisi: durante l’occupazione di Rotterdam, se un cane abbaiava ad una pattuglia tedesca, l’ufficiale in servizio lo uccideva immediatamente e ne arrestava il proprietario.
Oltre questo “amore” per i cani, l’ideologia nazista non sembrava certo essere così benevola verso gli altri animali. Sebbene lo scopo dei campi di concentramento fosse l’eliminazione degli esseri umani, tali campi operavano in un più ampio contesto sociale di sfruttamento e uccisione degli animali. Auschwitz possedeva un proprio macello e un proprio negozio di macelleria, ma anche gli altri campi di sterminio rifornivano con grandi quantità di carni il proprio personale. Sobibor aveva una stalla per bovini, un porcile e un pollaio situati nelle vicinanze del tunnel che portava gli ebrei alle camere a gas; Treblinka disponeva di una stalla, di un porcile e di un pollaio dislocati in prossimità dell’accampamento delle forze austriache ucraine. A Treblinka inoltre c’era addirittura uno zoo.
Sparare agli animali era un passatempo assai popolare tra i membri delle squadre operative e il personale dei campi di sterminio. Molti di coloro che trascorrevano le ore di lavoro uccidendo esseri umani, amavano impiegare il tempo libero uccidendo animali. Nel diario di Felix Landau si legge: «Oggi gli uomini hanno avuto un giorno libero, alcuni di loro sono andati a caccia». Alcuni membri del 25° reggimento di polizia subirono una reprimenda per aver cacciato illegalmente cinghiali. In una lettera indirizzata alla famiglia a proposito di una battuta di caccia appena conclusa, Eduard Wirth, uno dei medici delle SS ad Auschwitz, raccontava a sua moglie di aver sparato a sei conigli e di averne tenuto uno per lei («Tu, mia adorata, lo avrai domani»).
I nazisti erano contro la vivisezione
Partendo dal presupposto precedente, ovvero che i nazisti “amavano gli animali”, i più fantasiosi tra i fautori della sperimentazione animale sostengono che in virtù di ciò i medici delle SS si rifiutarono si sperimentare sugli animali prediligendo l’uso di esseri umani. Questa originale conclusione è di norma la conseguenza della domanda retorica: «Se non sperimentiamo sugli animali, dovremmo sperimentare sugli umani?».
Questa bizzarra concatenazione di idee nasce da una evidente ignoranza sui concetti dell’antivivisezionismo. L’antivivisezionismo mira ad abolire l’uso degli animali nella sperimentazione, ma naturalmente non con l’obiettivo di sostituire l’animale con l’uomo: questo sarebbe assurdo e ridicolo. Il movimento scientifico antivivisezionista nel conseguire il proprio obiettivo richiede un maggiore investimento di soldi, tempo ed energie verso metodologie innovative che non richiedano l’uso di animali, studi clinici ed indagini epidemiologiche.
Inoltre bisogna sapere che la sperimentazione sugli animali oggi rappresenta non l’alternativa ma solo l’anticamera alla sperimentazione sugli esseri umani: ad esempio una nuova terapia deve essere prima testata sugli animali e, a dimostrazione dell’inattendibilità del test animale, segue il test sugli esseri umani, con tutti i pericoli che ne conseguono. Dunque la sperimentazione sugli umani è già oggi praticata. In realtà i medici delle SS decisero di usare esseri umani nei propri laboratori proprio perché profondamente convinti del metodo vivisezionista, fondato sull’uso meccanicista di esseri viventi, per cui non appena ne ebbero la possibilità non si fecero scrupoli ad usare esseri umani.
Un dipinto di Hitler.
Esistono in ogni caso prove schiaccianti di come i medici nazisti continuarono a condurre un’enorme quantità di esperimenti sugli animali. In The Dark Face of Science, di John Vyvyan, possiamo ad esempio leggere che «gli esperimenti condotti sui prigionieri furono molti e di diversa natura, ma avevano tutti una caratteristica in comune: ciascuno rappresentava una continuazione di esperimenti condotti su animali, o ne era complementare. Per ogni esperimento, veniva citata in evidenza la letteratura [vivisezionista] antecedente e nei campi di concentramento di Buchenvald e Auschwitz vennero portati avanti esperimenti simultaneamente su umani e animali, come parte di un unico programma».
Interessante notare che la sperimentazione sugli esseri umani non era pratica consueta solo dei medici delle SS “amanti degli animali”, ma permeava l’intero campo della ricerca medica, comprese le industrie farmaceutiche. Il dogma della vivisezione, inculcato allora come oggi durante gli studi universitari, presentò ai ricercatori dell’epoca come del tutto naturale passare dalla sperimentazione sugli animali alla sperimentazione sugli umani. Da passaggi di lettere appartenenti agli atti del processo di Norimberga, indirizzate dalla più grande impresa chimico-farmaceutica tedesca, la IG Farbenindustrie, alla direzione del lager di Auschwitz durante la Seconda guerra mondiale, leggiamo:
Per esperimenti con un nuovo sonnifero Vi saremmo grati se ci poteste fornire un certo numero di donne [...].
Troviamo esagerato il prezzo di 200 marchi per donna. Vi proponiamo un prezzo massimo di 170 marchi. Ce ne servono circa 150.
Le 150 donne sono arrivate. Sebbene il loro stato di salute sia alquanto precario, abbiamo deciso di considerarlo sufficiente. Vi terremo informati in merito ai nostri esperimenti.
Gli esperimenti sono stati compiuti. Tutte le partecipanti sono decedute. Tra breve vi scriveremo in merito a una nuova fornitura.
Quindicimila cacciatori per Mussolini
Nella foga di trovare fantasiosi nessi tra nazisti e ARA accade che a questi impavidi salvatori dell’umanità sfugga quello che può scrivere proprio una rivista a loro dedicata. In un articolo apparso sul sito della rivista Diana, una pubblicazione specializzata sull’ “antica arte” della caccia, si parla non di Hitler, ma del suo miglior alleato Benito Mussolini:
L’Italia è ormai nel pieno di quello che in seguito verrà definito Ventennio e tutto deve concorrere alla esaltazione e alla diffusione delle idee propugnate dal Regime. Per capirlo basterebbe la copertina di Diana [del numero uscito allora] [...] dedicata a Benito Mussolini e alla frase da lui pronunciata davanti a settecento cacciatori provenienti da Bari per rendergli omaggio, preludio dell’altra, ben più numerosa [...] adunata che si terrà nel 1932 e vedrà ben 15.000 cacciatori invadere Piazza Venezia [...]. [...] Il fascismo non poteva lasciarsi scappare l’occasione di prendere sotto la propria ala una attività come quella venatoria che vedeva portare avanti da chi la praticava sia un sano esercizio fisico – un’altra delle velleità del Regime – sia la preparazione all’uso delle armi, propedeutica ad un impiego militare già tristemente nei programmi. Intanto il Duce, dichiarandosi anch’esso appassionato dell’ars venandi [ovvero della caccia] ha soppiantato come primo cacciatore d’Italia la figura del Re nell’iconografia nazionale [...]. Sempre nel 1931 nasce anche la Federazione Nazionale Fascista dei Cacciatori, ulteriore esempio del controllo esercitato dal fascismo su ogni aspetto della vita dei cittadini. [1]
Evidentemente “tempi gloriosi” come quelli del fascismo vengono guardati con nostalgia dai cacciatori di oggi…
Conclusioni
In realtà, la storia ci mostra numerosi esempi di grandi uomini che hanno deciso di abbandonare il consumo delle carni in favore di un’alimentazione più attenta alla vita degli animali. Ricordo, tra i tanti vegetariani, Pitagora, Nasone, Plutarco, Leonardo Da Vinci, Lev Tolstoi, George Bernard Shaw, Mahatma Gandhi, Albert Einstein, Isaac Bashevis Singer, Tiziano Terzani.
Albert Schweitzer, medico, teologo e filosofo tedesco, premio Nobel per la pace, impegnato come missionario in Africa e  sostenitore dei diritti animali, scrisse:
«Coloro che antepongono i diritti degli umani a quelli degli animali non hanno coscienza che la pietà è una sola come la compassione.»
Riccardo B.http://www.animalstation.it/public/wordpress/?p=54

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